Un gruppo di combattenti jihadisti ha nuovamente attaccato la città di Damasak, nel nord-est della Nigeria, in un assalto in cui sono state uccise almeno 10 persone e otto altre sono rimaste ferite. Secondo quanto riferito ai media dal capo dell’amministrazione locale di Mobbar, Bukar Mustapha, i jihadisti sono tornati ieri sera nella città che avevano attaccato tre giorni fa, dando vita a combattimenti che sono continuati fino a mezzogiorno di oggi. Il funzionario ha confermato che decine di persone sono fuggite verso il confine nigerino in seguito all’attacco, durante il quale i jihadisti hanno dato alle fiamme le case. È la terza volta nel giro di un mese che Damasak viene presa di mira: in precedenza roccaforte jihadista, la città è stata ripresa dall’esercito nel 2014. Ospita le attività delle Nazioni Unite e di diverse Ong che operano a sostegno delle popolazioni locali per contrastare la crisi umanitaria regionale.
Nell’attacco dello scorso fine settimana, avvenuto nella notte fra sabato e domenica ad opera di sospetti membri dello Stato islamico nell’Africa occidentale (Iswap) – , fazione scissionista di Boko Haram -, sono morte secondo l’ultimo bilancio accertato sette persone, di cui due militari. L’attacco è stato confermato dapprima da fonti della sicurezza, quindi dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), i cui cooperanti sono stati presi di mira nell’attacco. Secondo quanto riferito dal coordinatore umanitario e capo della missione delle Nazioni Unite in Nigeria Edward Kallon, infatti, il violento attacco è stato deliberatamente condotto allo scopo di distruggere le strutture umanitarie e ha colpito tre partner internazionali attivi a Damasak. Le strutture sono state incendiate e saccheggiate, ha aggiunto Kallon, dicendosi “preoccupato per la sicurezza e l’incolumità dei civili e degli operatori umanitari”. Questa versione è stata confermata anche da fonti della sicurezza. Nell’operazione jihadista sono stati attaccati anche una stazione di polizia e un ospedale locali, mentre residenza civile dove si stava svolgendo una cerimonia, è stata bombardata da un jet militare.
L’altro attacco risale al 15 marzo, quando due militari sono morti in città in seguito a combattimenti scoppiati fra l’esercito e miliziani Iswap. Secondo quanto riferito da fonti militari citate dal quotidiano “Daily Post”, un elicottero militare ha evacuato da Damasak a Maiduguri i militari rimasti feriti nei combattimenti, mentre un totale di 39 combattenti Iswap sono stati “neutralizzati” dallo sforzo congiunto dell’esercito nigeriano e di quello del Niger, al termine di uno scontro a fuoco durato oltre quattro ore. Situata 30 chilometri a sud del confine nigerino, Damasak è stata più volte in passato un obiettivo dei militanti di Boko Haram e di altri gruppi jihadisti. A maggio scorso l’esercito nigeriano ha respinto un attacco sferrato da Boko Haram nella stessa zona, che nel 2014 avevano conquistato Damasak per poi perderla nuovamente.
L’attacco alle attività Onu a Damasak ricorda infine quello sferrato nella notte tra l’1 e il 2 marzo a Dikwa, città dello Stato nord-orientale di Borno che ospita al suo interno un campo militare ed una base umanitaria delle Nazioni Unite e che a sua volta è già stata in passato obiettivo jihadista. L’attacco, confermato da fonti della sicurezza citate dalla stampa locale, ha visto una duplica aggressione contro la città e gli obiettivi militari, spingendo 25 operatori umanitari a cercare rifugio nel bunker Onu. Nonostante tre azioni dell’esercito nigeriano, intervenuto nel tentativo di respingere gli assalitori con il supporto di un aereo e di un elicottero, i miliziani sono riusciti a prendere la città in un’operazione nella quale mentre scriviamo non è conosciuto il bilancio di eventuali vittime. Secondo quanto riferito all’emittente “Rfi” da testimoni locali, l’attacco jihadista è stato “rapido e spettacolare”, mentre per il coordinatore Onu in Nigeria, Edward Kallon, è sembrato evidente che l’attacco inferto dai miliziani jihadisti a Dikwa mirasse direttamente le strutture di soccorso, con un grave impatto sul sostegno fornito dalle Nazioni Unite a quasi 100mila persone “che hanno un disperato bisogno di assistenza e protezione umanitaria”.
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