I gruppi armati affiliati al generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica candidato alle elezioni presidenziali, avrebbero circondato oggi l’edificio della Corte di appello di Sebha, nel sud della Libia, impedendo l’ingresso di giudici e dipendenti. Lo ha detto Ali Abu Sbeiha, capo del Consiglio supremo delle tribù della regione meridionale libica del Fezzan, in un post su Facebook. “In questo modo la Corte non potrà considerare l’appello di Saif al Islam Gheddafi contro l’esclusione dalle elezioni presidenziali emessa dall’Alta commissione elettorale”, ha aggiunto Abu Sbeiha. A confermare lo sbarramento davanti al tribunale è stato anche Mussa Tehusai, giornalista e ricercatore specializzato nelle questioni della Libia meridionale, via Twitter. “La Brigata 115 chiude le strade che portano alla Corte d’appello di Sebha e impedisce l’accesso a giudici e dipendenti”, ha scritto il giornalista, pubblicando una foto al riguardo. Il figlio del defunto leader libico Muammar Gheddafi ha scritto ieri sui social media che i giudici della Corte di appello di Sebha, nel sud della Libia, si sarebbero rifiutati di esaminare il ricorso presentato dagli avvocati, suggerendo che i magistrati sarebbero stati intimiditi.
Giovedì 25 novembre, l’avvocato di Gheddafi aveva tentato di presentare ricorso presso la Corte di appello di Sebha, capoluogo della regione meridionale del Fezzan, ma la brigata Tariq Bin Ziyad, gruppo armato dove serve il figlio del generale Haftar, Saddam, aveva cinto d’assedio il tribunale, cacciando i magistrati e impedendo all’avvocato Khaled al Zaydi di presentare il ricorso. L’Alta commissione elettorale della Libia aveva respinto la candidatura di Saif al Islam Gheddafi sulla base dell’articolo 10 della legge elettorale presidenziale, secondo cui i candidati “non dovrebbe essere condannati con sentenza definitiva per un crimine o un reato contro l’onore o la fiducia”. Saif al Islam era stato condannato a morte “in absentia” dal tribunale di Tripoli nel 2015, ma la sentenza era stata annullata pochi mesi dopo da un’amnistia generale emanata dal Parlamento di Tobruk. Ad oggi è ancora ricercato dalla Corte penale internazionale (Cpi) per crimini di guerra.
Ieri, l’udienza del ricorso di Gheddafi era stata rimandata per motivazioni non del tutto chiare chiare. Una fonte interna al tribunale ha detto ad “Agenzia Nova” che il rinvio è dovuto al ritardo di uno dei tre giudici e che l’udienza si è tenuta per circa mezz’ora prima di aggiornare i lavori a domani. Secondo un’altra versione che circola dalla stampa libica, invece, la sospensione sarebbe dovuta all’assenza di alcuni membri del collegio di tre giudici. La corsa di Saif Gheddafi alle consultazioni di fine anno è attualmente oggetto di una contesa legale dagli esiti ancora incerti. Anche se Gheddafi dovesse vincere i ricorsi ed essere eletto, tuttavia, egli non potrebbe visitare la gran parte dei Paesi del mondo perché sottoposto a un mandato d’arresto internazionale, fatto che spingerebbe nuovamente la Libia in una condizione d’isolamento da “Stato canaglia”.
Intanto, il premier del Governo di unità nazionale (Gun) della Libia, Abdulhamid Dabaiba, è temporaneamente fuori dalla corsa per le elezioni presidenziali che dovrebbero tenersi il 24 dicembre, nel giorno del 70mo anniversario dell’indipendenza del Paese nordafricano. Secondo Zahraa Naqi, membro del Foro di dialogo politico libico, il tribunale di primo grado di Tripoli ha accettato ieri uno dei vari ricorsi presentati contro Dabaiba, principale favorito per l’elezione a capo dello Stato. La decisione sarebbe basata sul fatto che Dabaiba sarebbe in possesso della nazionalità canadese, in violazione della seconda condizione (il futuro presidente “non dovrà avere il passaporto di un altro Paese”) della legge sulle elezioni presenziali emanata dal parlamento di Tobruk. Inoltre, il premier si sarebbe impegnato per iscritto a non concorrere alle elezioni quando è stato nominato dal Foro di dialogo politico libico (Lpdf, organismo patrocinato dall’Onu) a Ginevra lo scorso febbraio. Gli avvocati di Dabaiba potrebbero comunque decidere di impugnare la decisione emanata ieri.
Lo scorso 18 novembre, l’imprenditore della “città-Stato” Misurata, sede delle milizie considerate più forti del Paese nordafricano, aveva depositato la propria candidatura nella sede dell’Alta commissione elettorale (Hnec) della capitale, Tripoli. Questo nonostante l’articolo 12 della controversa legge sulle presidenziali di Tobruk precluda, in teoria, la possibilità di concorrere alle elezioni a chiunque abbia ricoperto cariche pubbliche tre mesi prima del 24 dicembre, la data delle elezioni che dovrebbero svolgersi in concomitanza con il 70mo anniversario dell’indipendenza della Libia. Il 25 novembre la Corte d’Appello di Tripoli aveva respinto i ricorsi presentati contro la candidatura del premier e ministro della Difesa “ad interim” basati appunto sull’articolo 12, considerato discriminatorio. Laureatosi in ingegneria in Canada, Dabaiba ha lavorato a stretto con contatto con Saif al Islam Gheddafi nel 2007 dopo la laurea nel Paese nordafricano. “Ma questo è il mio unico legame con l’ex regime”, assicurava in un’intervista risalente al 2018, in cui si era presentato come “alternativa” all’allora premier di Tripoli Fayez al Sarraj e al generale Haftar.
Nel frattempo a Bengasi, nell’est del Paese, la Corte di appello di Bengasi ha respinto un ricorso presentato dal candidato presidenziale Abdel Majid Saif Al Nasr contro il generale Haftar. Non sono note le ragioni su cui si basava l’appello presentato da Al Nasr, né le motivazioni del respingimento. E’ probabile che il ricorso sia stato presentato per contestare la doppia cittadinanza di cui godrebbe Haftar, che ha ottenuto il passaporto statunitense negli anni trascorsi in esilio in Virginia. Lo scorso 25 novembre, il tribunale militare della città di Misurata aveva emesso una condanna a morte per il comandante dell’Esercito nazionale libico, il generale Khalifa Haftar. La sentenza era stata emessa contro Haftar e altri sei ufficiali, in un caso relativo all’attentato all’Air Defense College della città, ordinando la loro espulsione dal servizio militare e la privazione dei loro diritti civili. La decisione della Corte marziale di Misurata, per cui è possibile fare appello, appare fortemente politica ed è destinata a suscitare aspre polemiche nel Paese nordafricano.
Leggi anche altre notizie su Nova News
Seguici sui canali social di Nova News su Facebook, Twitter, LinkedIn, Instagram, Telegram